il seguente articolo, a firma di Anna Maria Civico è apparso sul n. 147 della rivista Leggendaria del mese di Maggio 2021. E' possibile acquistare la rivista cartacea qui.
La voce radicata risuona granulosa e concreta, se accostata ai canti della gente contadina. Quel mondo agro-pastorale italiano che cantava per comunicare. La voce radicata smette di essere un concetto nel suo essere radicale. E' la consuetudine con la fatica fisica, la tensione muscolare, la postura a rendere il fluire del respiro compresso a tal punto da attraversare le corde vocali con la precisione del marchio della Cultura Contadina? A lasciare vibrare, fino ad oggi, la eco di una voce saputa? Situata? Radicata da qualche parte? Voci di corpi sottoposti ad alta pressione fisica. E se ci lasciassimo pensare che sia il respiro ad accendere l'aria e far apparire lo spazio acustico e l'ambiente? Tanto da influire sulla percezione della nostra dimensione spaziale, sulla sua dilatazione e assottigliamento, fino alla trasparenza e permeabilità con memorie passate-future? Allora il suono delle voci, di queste voci, aprono porte. Si muovono nello spazio iperbolico o lo creano nel canto. Non prima, non dopo. Costruendo legami multidimensionali e multitemporali. Una ricerca nella Papua Nuova Guinea, dove vivono i Kaluli, riporta come la loro lingua, canzoni e lamenti si strutturino su memorie acustiche ambientali, dove i suoni degli uccelli sono considerati voci che manifestano gli spiriti di donne e uomini morti. I Kaluli riconoscono la propria esistenza attraverso il suono e i rapporti umani sono fondati nell'ecologia e nell'ordine naturale della foresta.1 C'è un'azione ecologica nel nostro cantare oggi? Chiediamolo al capodoglio, uno dei più grandi animali viventi. Dotato di un biosonar, un click del proprio apparato comunicativo, il capodoglio può interpretare la eco del click e "vedere" e orientarsi al buio dei fondali marini ad oltre tremila metri di profondità.2 In un altro tempo, la funzione eco-culturale della poetica greca arcaica, le composizioni si nutrivano di una memoria sonora preesistente la poesia e l'imitazione dei suoni degli uccelli coincideva con l'invenzione nel processo compositivo.3 I modi di essere voce nella cultura contadina mi hanno influenzato al punto da convincermi a seguirli. Per comprenderle mi sono costruita uno strumento. Il corpo, attrattore e cassa di risonanza. Il dispositivo mette in atto un processo che si basa su interconnessioni tra ascolto, reiterazioni, microvariazioni, relazioni, performance, festa. Quello che canto non è identico alla matrice tradizionale. Viene sottoposto alla pressione fisica, psichica, socio-culturale che mi connota. E che mi è possibile. I suoni, codificati o ambientali, si muovono in una dimensione fluida e comunicante, si spostano in modo trasversale nei generi musicali. Le musiche mediterranee ne sono un esempio, di contaminazioni millenarie che sopravvivono nelle tradizioni orali-aurali e scritte. Prendono-hanno preso influenza da tutte le coste ed entroterre che si affacciano sul mare. Sono capaci di germinazioni multiple e di espandersi a grandi distanze come i pollini. Basta che uomo o donna, viaggiando o migrando, abbiano lasciato, dimenticato, uno strumento, un racconto. Seminato un suono, un ciclo ritmico in un orecchio umano o non-umano.4 La musica viaggia e si sedimenta in noi, tra noi, lasciandosi trasportare da supporti formali o d'emergenza. La voce e il canto, in me, si sono intrecciati di tecniche cultural-sentimentali. Qualche volta mi hanno anche soccorso. Ciò che sperimento agire è l'influenza tra canali interni: la sorgente del respiro, la mente musicale, la vibrazione che connette tutto come un reticolo. E tra superfici esterne che si manifestano nelle risonanze. Un collegamento tra cuore, viscere, laringe e ambiente che apre uno spazio che prima non c'era e dentro cui confluisce una nuova pulsazione, l'invenzione della musica. Per me, in me, il sapore, l'ambiente e il desiderio di questo frammento e di questa invenzione segue le regole del canto blues, prende la forma musicale del canto all'aria della nostra musica agro-pastorale mediterranea del Sud Italia. Un tetracordo, un pentacordo. Cellule vocali si muovono a spirale in lamenti, richiami, chiamate, incantazioni, canti a stisa, canti alla zampognara, serenate, ninne-nanne, canti di lutto, di perdita dei luoghi e altri smarrimenti. Versi di uccelli o di altri animali, fruscii del vento tra le foglie, cigolii e altri collegamenti. Il corpo si comporta come un campo di forze che quando si fondono, o si incrociano, creano messaggi musicali interni. Potrebbero sembrare messaggi spontanei invece seguono regole bio-fisiche. O forse è la fisica ad essere capace di spontaneità? Nell'essere sentimentali e conduttori di onde emotive che prima non c'erano, i messaggi interiori sono profondamente fisici prima e dopo essere liberati in ambiente. E così mi trovo a stare nella voce in una relazione concreta. In un continuum granuloso. Quando canto la voce non stà ad indicare qualcos'altro. Non è simbolica. Le forme melodiche del canto che risvegliano o creano stati emotivi, le situazioni narrative dei testi, vengono attratte dalla voce nella rete dei flussi corporei, sangue, respiro, mente fino a divenire una circolazione trasversale, oscillatoria e vibrazionale che rigenera. Rosetta, la protagonista di un canto, non è più sulle scale del remoto paese di Feroleto Antico a ricamare. Rosetta è un'onda tangente che si avvicina sempre di più a me quando canto. E non è più legata ad un luogo ma si muove con noi, tra di noi, senza perdere il legame da cui proviene. Ma nell'azione del canto si creano altri legami che portano Rosetta a divenire nomade. La voce che Giovanni ode dietro gli scogli di Diamante, non è più quella di Maria che piange il suo figliolo, è la mia. E nello stesso tempo è anche la storia di Maria che nel momento in cui canto diventa presente. Si presentifica nell'azione del canto. Per un istante, per tre minuti, o per un'ora, smette di essere passata. E siamo almeno in tre. E l'apprensione di Giuseppe, della paura di addormentarsi e così perdere la donna amata, ci ricorda paure primordiali, di quando il sonno rappresentava un rischio perché si poteva essere preda di altri animali. Ne rimane ancora traccia, anche nelle ninne-nanne, il sonno come luogo di non ritorno. O il senso di smarrimento nei canti di migrazione, la paura di Rocco di non conoscere se non le strade del suo villaggio. Vivendo nella costante paura di perdersi si aggrappa ai ricordi, che spesso sono canti, musica, danze, cibo tradizionale. In questa cornice la spettralità del suono e degli antenati quasi si sovrappone senza raggiungere mai la perfetta sincronicità. E va bene così. Il suono mi garantisce che, ad ogni modo, in qualunque abisso mi possa andare a cacciare, e qualunque incontro possa fare, cantando trovo la strada per ritornare. Anche in questo affollamento. Un'altra questione è, sono io a chiamare Rosetta o è Rosetta che mi sta chiamando? Un dubbio che promette sconfinamenti culturali, speculazioni scientifiche e poetiche. Sicuramente musicali. Quando le donne del popolo Aka della Repubblica Centrafricana vanno nella foresta a cercar funghi, mentre li raccolgono tracciano con i propri passi la forma sotterranea del reticolo miceliare e cantano accompagnate da versi degli animali della foresta. Sono le spore dei funghi a suggerire alle donne il percorso? Magari attraverso l'odore. E le voci in che relazione sono con i reticoli miceliari? Dato che ogni donna canta il suo percorso con una canzone apparentemente slegata da quella della compagna. Una polifonia in cui ognuna cammina costruendo un tracciato sul terreno.5 Quando canto che Maria è la rosa, non penso che sia una metafora, penso piuttosto che tra la rosa e Maria ci deve essere stata, ci può essere, una relazione simbiotica, sapienziale e soprattutto reciproca. La rosa è Maria. L'unico indizio che ci dice l'etnomusicologo è che si tratta di un canto di mietitura. Ed ecco la prossimità con le conoscenze biotecniche della contadina. Ma cosa sappiamo noi della relazione di Maria con le piante? Alcune tesserine vocali meritano di essere reinterrogate sotto altre spinte speculative. Mi entusiasma l'idea di ricerche transdisciplinari. Quando canto un canto paraliturgico, da sola o in polifonia, nel mio corpo si crea un allineamento multiverso terrestre e cosmico che scorre lungo la spina dorsale. Sarebbe auspicabile che questa sensazione possa rappresentare un principio di cambiamento nel modo di stare al mondo. Ri-attivando una pratica saputa della voce e garantire che il processo di vibrazione ad alta frequenza possa irradiarsi agli organi del corpo, funzione indispensabile ad assicurare la flessibilità per sopravvivere.6 Il cantare insieme è sempre stato un dispositivo sociale. Ma esiste anche il canto solista per se o per la famiglia o per una piccola comunità. Bisogna avvicinarsi all'abbondanza di dettagli lasciati e disposti sui margini mobili della realtà, come filamenti in attesa di agganciarsi a mani o voci sapienti e curiose. Ad ogni canto e per ogni frase, per ogni cellula vocale-musicale. Per ogni tesserina archeo-vocale. Qualcosa va ri-assemblato. Lasciato fare all'orecchio. Un organo la cui superficie è disponibile a ri-assorbire tracce passate-presenti. La memoria motoria delle corde vocali può rimodellarsi. Riapprendere dal rapporto con il diaframma, con la laringe, la glottide, la lingua, il palato. Nella consapevolezza del corpo-strumento come assemblaggio di un sistema bio-psico-culturale, la coscienza scorre come un fluido sul vapore del respiro e accende lo spazio intorno a me e tra gli altri. La voce radicale si muove a suo agio nel canto di tradizione orale contadino mediterraneo, che è un canto vivente, stratificato di agenti ambientali. Un movimento in correnti estremamente sottili, con direzioni molteplici, che influisce sull'apprendimento e conoscenza di un canto. Si tratta di un modo di conoscere stratificato, trasversale e inter-attivo accostabile ad una pratica artigianale individuale e comunitaria, con legami interni e relazionali. Un legame che si instaura nella relazione temporale del qui ed ora, sia che si canti in presenza di una comunità o che si canti in solitaria, in un ambiente con caratteristiche acustiche apprezzabili. Mi sorprende sempre come una quantità di dettagli emergano dalla pratica di ogni canto arcaico del mondo agro-pastorale, come se la voce originaria da cui l'abbiamo ascoltato, ce li avesse nascosti al primo ascolto E solo con la pratica li approfondiamo e credo, anche, completiamo. Li peschiamo dalla deriva. Andiamo a guardare dentro ad un sistema musicale spesso offuscato da comparazioni affrettate, sentimentalismi e retorica che fanno rumore. E si sa che la musica, invece, abbia un rapporto molto preciso con il silenzio. Sia mentale che ambientale. Nell'azione fisica del canto, nel migliore dei casi, viene richiamata una dimensione vocale-musicale-acustica di nuovo respiro, circondata da una barriera di silenzio. L'orecchio e l'organo della fonazione, il cuore, i polmoni, il mantice, ora, possono dare forma al canto che, rispetto alla sua origine, si muove su motivazioni differenti che fanno di quella traccia musicale qualcosa di misterioso e allo stesso tempo familiare. La barriera di silenzio viene aperta e allora quel canto ri-crea un ambiente che unisce sfera organica e inorganica.
1 Per uno studio su modi di comunicazione tra suono, umano e natura, v. Steven Feld, Suono e Sentimento, uccelli, lamenti e canzone nell'espressione kaluli, il Saggiatore, 2009.
2 Per ricerche su Odontoceti e Cetacei, v. Sabina Airoldi, Tethys Research Institute, Milano.
3 Per una storia della fonosfera nel mondo antico, v. Maurizio Bettini, Voci, antropologia sonora del mondo antico, Carocci, 2018.
4 Su come alcuni uccelli apprendano suoni dall'umano, v. Bettini, op. cit.
5 Per il canto delle donne Aka che raccolgono funghi , v. Merlin Sheldrake, L'ordine nascosto, la vita segreta dei funghi, Marsilio, 2020.
6 Per studi su pratiche vocali e salute, v. Anna Maria Civico, Un sentimento di benessere collettivo, il corpo voce in musicoterapia, Umbria Volontariato Edizioni, 2015.
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