Pasquale Iervasi: il suono nascosto
Pasquale Iervasi, contadino di Gioiosa Ionica, classe 1910, nel momento in cui la coop. R.L.S. effettuò la propria indagine sul campo alla ricerca della lira all'inizio degli anni '80, suonava raramente e solo in casa, quasi vergognandosene.
In quel periodo la lira, come afferma un altro suonatore intervistato dalla cooperativa, Francesco Carlino, veniva associata ad un periodo di miseria, quando per vivere si "guardavano" le pecore e si camminava scalzi.
L'attività dei pochi suonatori rimasti va quindi considerata una forma di resistenza culturale, nel momento in cui lo strumento costituiva lo stigma della miseria atavica di quei luoghi, l'antitesi di una modernità che in quel momento si stava affermando pienamente anche nei luoghi più remoti della Calabria.
Iervasi era, a detta dei ricercatori, il più virtuoso dei suonatori documentati durante la ricerca. il suo stile dal fraseggio molto asciutto e spezzato è estremamente riconoscibile, anche se condivide l'impostazione del cugino Antonio Martino, anch'esso documentato nella ricerca.
Lo strumento suonato da Iervasi è abbastanza rudimentale ed autocostruito. Rispetto ad altri strumenti dell'area si caratterizza per la forma piuttosto tozza, con una cassa di risonanza molto pronunciata e un manico molto largo e meno evidente rispetto ad altri strumenti della zona.
L'arco utilizzato è realizzato attraverso la piegatura di un pollone di ulivo e risulta concepito in maniera simile a quello del rebab della musica arabo-andalusa. Un arco così concepito, relativamente pesante e corto, contribuisce ad accentuare l'andamento ritmico del brano. L'utilizzo di questo tipo di arco, insieme al fatto che Iervasi accorda la lira in una tonalità bassa, per diminuire l'usura delle corde, contribuisce a creare un suono molto ruvido e poco definito, accentuando l'effetto percussivo dello sfregamento del crine sulla corda.
rebab arabo-andaluso |
la lira di Pasquale Iervasi |
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